Incontro Ilenia Montagnoli, danzatrice solista dello Staatsballett di Berlino, nel bar del teatro Deutsche Oper, sito sulla Bismarckstrasse, edificio inaugurato il 24 settembre 1961, ricostruito sulle macerie del vecchio “Deutsches Opernhaus” distrutto durante i bombardamenti nel novembre del 1943. Esso, oltre alla lirica, ospita lo Staatsballett Berlin (Balletto di Stato di Berlino). Il moderno edificio è situato nel quartiere di Charlottenburg, tra il famoso Kurfürstendamm, il lungo viale dello shopping punto nevralgico della ex Berlino Ovest, e il noto castello di Charlottenburg, residenza in stile barocco italiano dei primi del ‘700 voluta da Sophie Charlotte, moglie di Federico I di Prussia. Oggi il castello è meta sia di turisti che di berlinesi che amano andare a passeggiare e a fare jogging nel suo meraviglioso parco aperto al pubblico. Ilenia arriva dalla lezione mattutina. Alta, molto bella, ha quel portamento inconfondibile delle danzatrici classiche. Ci presentiamo e le spiego il motivo per cui sono lì, il mio interesse per il mondo del balletto. Le racconto di mia madre danzatrice al Teatro dell’Opera di Roma e di esser cresciuta tra i teatri e le prove, e anche di aver studiato diversi anni da ragazzina all’Accademia di Danza di Roma. Scopriamo di avere conoscenze in comune e l’atmosfera si fa subito informale ed amichevole.
Ciao Ilenia, dove sei nata e dove ti sei formata come danzatrice?
Sono nata a Mantova e ho studiato fino ai quindici anni in una scuola di danza privata. Poi ho intrapreso un percorso a Milano con Margherita Smirnova, un’insegnante della Scala che è stata Étoile del Bolshoi di Mosca. Ho fatto un corso di perfezionamento con lei per circa tre anni. Poi ho vinto una borsa di studio per il Boston Ballett, dove sono rimasta per tre mesi. Però accusavo troppo la mancanza di casa e quindi sono tornata in Italia, dove ho iniziato a fare audizioni in Europa. Sono stata molto fortunata perché la prima audizione che ho fatto è stata qui a Berlino e sono stata presa.
E che anno era quando arrivasti a Berlino?
Era il 2003-2004. Sono arrivata qui che avevo diciotto anni. Ho fatto tre anni qui in compagnia, sotto la direzione di Vladimir Malakov. Ma avevo di nuovo nostalgia di casa. Ero molto giovane allora. Per questo dopo tre anni decisi di tornare in Italia. Tornata in Italia per una serie di cose mi sono ritrovata all’Arena di Verona, sotto la direzione di Maria Grazia Garofoli. Con lei ho iniziato un altro cammino, un percorso che, nonostante la difficile situazione lavorativa nel nostro paese, mi ha dato tante soddisfazioni e opportunità. Maria Grazia Garofoli mi ha fatto fare subito la Prima Ballerina; quindi è stata un’esperienza diversa da quella che avevo avuto qui a Berlino, dove lavoravo ancora nel corpo di ballo. Mi ha fatto crescere. E poi è à Verona che ho conosciuto mio marito.
Ah che bello! Anche lui è ballerino?
Sì.
E come si chiama?
Tommaso Renza. A Verona abbiamo iniziato un percorso comune. Danzavamo insieme. Però oltre all’amore per la danza dovevamo anche vivere e la mancanza di contratti, di stabilità lavorativa, ci ha fatto prendere la decisione di provare a tornare qui a Berlino. Quindi ho richiamato Vladimir Malakov chiedendo se ci fosse disponibilità. Siamo venuti, abbiamo fatto un’audizione e miracolosamente siamo stati presi entrambi.
Fantastico. E che anno era?
Era il 2013. Ci siamo sposati in Italia nel 2013 e subito dopo ci siamo trasferiti qui cambiando totalmente la nostra vita. Ci siamo immersi in questa avventura, abbiamo subito comprato casa… e siamo ancora qua.
E com’è questa tua seconda esperienza berlinese?
Bellissima. Non c’è confronto con l’Italia purtroppo. Qui abbiamo una stabilità lavorativa. E ho avuto la possibilità di fare carriera questa volta. Prima sono stata nominata demi-solista, poi solista. Tanti sacrifici ma anche tante soddisfazioni. In compagnia abbiamo un repertorio molto vario e ricco che spazia dal classico al contemporaneo, al moderno. Tanti stili diversi che ti danno la possibilità di crescere.
In Italia sentivi che ti mancava una struttura dietro?
Sì. Un ballerino non può ballare un mese sì e due no. Abbiamo bisogno di continuare ad essere allenati, di crescere. Io stavo perdendo i migliori anni della mia vita dietro a situazioni che poi non si sarebbero mai sviluppate. In Italia il ballerino lo fai part-time. Considerando che abbiamo a disposizione pochi anni di carriera non ha senso.
Che tipo di contratto avete? A tempo indeterminato?
No, a tempo determinato. Ci fanno un contratto di dodici mesi, che rinnovano ogni anno.
Vi sono stati coreografi italiani venuti a lavorare con voi negli ultimi anni?
Sì, è venuto Mauro Bigonzetti, Giorgio Madia. Diciamo che dipende dal Direttore Artistico. Il repertorio non è più molto classico.
Sì, venendo a vedere lo Schiaccianoci a dicembre ho assistito a delle proteste per il futuro cambio di direzione artistica.
Sì, a Berlino piace molto il repertorio classico. Dopo Malakov ci siamo spostati sempre più sul moderno.
Difatti. Leggevo che il prossimo Direttore Artistico sarà la coreografa Sascha Waltz. Una scelta sicuramente poco classica. Avete già cominciato a lavorare con lei?
No, ancora no. Dovrebbe arrivare tra due anni e mezzo. Penso che verrà già il prossimo anno a dare un’occhiata alla compagnia, a vedere chi vuole tenere e chi no.
Il Direttore Artistico attuale è ancora lo spagnolo Nacho Duato?
Sì.
Vi trovate bene con lui?
Benissimo. Anche umanamente io mi trovo benissimo con lui. Forse anche il fatto che sia spagnolo…tra italiani e spagnoli ci si capisce bene a livello umano.
Nella compagnia dello Staatsballett di Berlino quanti danzatori stranieri ci sono oltre a te e a tuo marito?
Tanti. Quasi tutti di nazionalità diversa. Vi sono pochissimi tedeschi.
Quanti italiani?
Siamo in cinque. È un ambiente molto internazionale. Per questo abbiamo anche difficoltà ad imparare il tedesco. In compagnia parliamo tutti in inglese, tra di noi ma anche con le insegnanti, con il Direttore. Io e Tommaso sbrighiamo tutto in inglese, ci abbiamo addirittura comprato casa. Tommaso però è più bravo di me…lui il tedesco lo ha imparato.
Tu come danzatrice preferisci il classico o il contemporaneo?
Quando ho iniziato a ballare mi piaceva molto il classico. Qui a Berlino sperimentiamo linguaggi molto diversi e ora che ho trent’anni mi sento proiettata anche verso il contemporaneo. Mi piace. Già da ragazzina devo dire ero molto versatile, mi piaceva studiare stili differenti: flamenco, afro, jazz.
Dal 2013 ad oggi, in questi quattro anni, quali sono gli spettacoli, le interpretazioni che ti hanno dato di più, che ti sono rimaste dentro?
Ve ne sono diverse. Il momento più importante per me è stato ovviamente l’aver interpretato il ruolo di Giselle l’anno scorso, con la coreografia di Patrice Bart. Era il mio sogno fin da piccola. È un balletto che mi ha sempre affascinato, soprattutto la scena della pazzia, in cui hai la possibilità di essere una ballerina ma anche molto vera. La pazzia la puoi interpretare a modo tuo. E io amo il dramma. Sono molto drammatica nella danza. Nella vita no, sono una persona felicissima e fortunatissima, ma nella danza mi piace il dramma, mi affascina interpretarlo. Quindi Giselle per me è stata un’emozione incredibile, un sogno che si è avverato. Poi un altro ruolo, questa volta moderno, che mi ha segnato moltissimo è stato Click-Pause-Silence di Jiří Kylián, non tanto per il pezzo, comunque molto bello, ma per aver avuto la possibilità di lavorare con Kylián. Una persona, un coreografo che mi ha dato tantissimo, soprattutto dal punto di vista umano. Un vero maestro. È circondato da un’aura particolare. Mi dava consigli tecnici e interpretativi che in realtà erano consigli per la mia vita. Un’esperienza che mi è restata nel cuore. Tra l’altro era un pezzo in cui ero l’unica donna insieme a tre uomini. Quindi ho lavorato spesso sola con lui. E poi lui mi ha scelta che io non ero ancora solista.
Quando sei diventata solista?
Due anni fa, nel 2015.
Oltre a Kylián, quali sono stati fino ad ora i tuoi maestri, gli insegnanti o coreografi che ti hanno segnata di più?
Tanti. Sicuramente il nostro Direttore Nacho Duato. Poi…durante i primi anni che ero a Berlino Giuseppe Carbone. Ovviamente Margarita Smirnova, l’insegnante che mi ha formato sia caratterialmente che tecnicamente. Poi Giuseppe Picone, attuale direttore del San Carlo di Napoli, con il quale ho danzato a Verona. Nonostante lui fosse un Étoile e io ai tempi giovanissima e senza esperienza volle ballare in coppia con me in diverse produzioni dandomi fiducia e ottimi consigli, e lo porto sempre nel cuore perché è un bellissimo ballerino ma soprattutto una splendida persona. Anche lavorare con Aleksei Radmanski è stata un’esperienza meravigliosa. Da ogni coreografo che arriva cerco di prendere le cose buone. Sono come una spugna. E al di là del fatto tecnico ho bisogno del rapporto umano e quando trovi una persona come Radmanski, così umile e positiva, non puoi che arricchirtene. Quando arrivò Radmanski facevo ancora parte del Corpo di Ballo e lui mi scelse come Prima Ballerina. Quindi forse anche per questo mi sta molto simpatico!
E invece c’è in Italia una compagnia o un Teatro Stabile con cui ti sarebbe piaciuto tanto lavorare?
Non ci ho mai provato in realtà. Forse non era destino. Mi è capitato di rifiutare situazioni in cui mi trovavo male umanamente, in cui magari c’era un maestro o direttore un po’ troppo dittatore o con cui non mi trovavo bene. Ho bisogno di sentirmi a mio agio per restare in un posto, per me è fondamentale.
Esistono coreografi, maestri un po’ despoti nel mondo della danza, vero?
Sì, purtroppo sì. Non fraintendere, io sono disposta a lavorare duro, sempre, però il rispetto tra le persone è per me un elemento imprescindibile. Vi sono persone che se le tratti male lavorano di più e meglio. Io no, non funziono così.
Sì, ti capisco. Esistono anche registi che usano torturare gli attori ma non funziona sempre e non con tutti.
Sì, infatti, con alcuni magari funziona… Io mi blocco. Ho bisogno di un ambiente sereno per lavorare.
Tu prima mi raccontavi di aver sofferto molto di nostalgia da ragazzina. Prima a Boston, poi a Berlino la prima volta…E come ti senti ora? Ti manca l’Italia?
Beh, certo. Mi manca la mia famiglia, mia mamma. Però ora c’è Tommaso qui, quindi sto meglio. Non sono più sola.
E tornate spesso in Italia?
Sì. Quando abbiamo le ferie e anche d’estate. E mia mamma viene a trovarci spesso.
E riesci a sopportare anche l’inverno berlinese?
Io sì, ma sono nata a Mantova io. Mio marito invece è di Palermo…per lui è più difficile. Però se c’è il lavoro, se si sta bene, il resto si supera.
Avete comprato casa a Berlino?
Sì. Appena arrivati comprammo una casa in centro, nel quartiere di Wedding. Poi l’abbiamo venduta e ne abbiamo comprata una più grande con giardino un po’ fuori città, ad Oranienburg, a 23 km da Berlino. Ci tenevo ad avere spazio e ad avere un giardino! E poi a Tommaso piace ristrutturare e si sta dando da fare. Facciamo tutto da soli.
E come venite a teatro la mattina?
Abbiamo una macchina e la mattina impieghiamo venti minuti per arrivare al lavoro. Ma sono contenta perché la sera quando torno a casa stacco completamente.
In questo periodo tu continui a far lezione, a tenerti in forma, nonostante tu sia… in dolce attesa!
Sì, aspettiamo una bambina!
Complimenti! In che mese sei?
Sono alla 26. Settimana.
Non sembra, sei davvero in forma. E continui ad allenarti ogni giorno?
Sì, perché mi fa bene. E poi a lei piace la musica classica, la rilassa. Ed è un modo per restare nel mio ambiente, vedere gli amici. Non riuscirei a stare tutto il giorno a casa.
Hai un luogo del cuore qui a Berlino?
Ci sono tanti parchi, tanto verde e questo mi piace. Berlino è una città particolare. Non c’è un centro, ve ne sono tanti. Magari non sarà bella come Roma, però ci si vive bene. È tutto più semplice qui, lo Stato è molto presente.
A giugno nascerà la vostra bambina. Tu quanto tempo starai a casa?
Ancora non so. Sicuramente sei mesi, e poi io e mio marito vedremo.
Qui esistono i congedi per la maternità e anche per la paternità giusto?
Sì, possiamo prenderci in tutto 14 mesi dalla nascita e possiamo dividerceli. E questa è una cosa meravigliosa. Però non credo che io e Tommaso ci prenderemo tutto questo tempo. Io vorrei riprendere a ballare al più presto. Inoltre considera che c’è un asilo nido di fronte al teatro.
È un asilo della Deutsche Oper?
No, è un nido pubblico, ma molte mie colleghe danzatrici hanno avuto figli ultimamente e li tengono lì. Anche noi lo faremo. È diventato un parco giochi questo teatro negli ultimi anni! È bello avere tante colleghe con bambini, portare i figli insieme al nido, tornare a prenderli…Vedremo, è un esperienza nuova, non sappiamo ancora bene come gestirla, ma faremo del nostro meglio. Nostra figlia è stata una bambina così desiderata, così voluta…
E verrà tua madre ad aiutarti?
Sicuramente! Però non in pianta stabile. Lei lavora in Italia. E poi a noi piace essere indipendenti, prendere in mano la situazione ed arrangiarci.
Una giornata tipo?
Iniziamo alle dieci con la lezione giornaliera, fino alle undici e un quarto. Alle undici e mezza abbiamo le prove fino alle due. Dalle due alle tre pausa, e poi di nuovo prove dalle tre alle sei. Questo quando non c’è spettacolo. Quando c’è spettacolo lavoriamo fino all’una e mezzo per poi rientrare in teatro alle cinque per trucco, parrucca e cose varie, e torniamo a casa dopo mezzanotte. Per fortuna ora c’è il sindacato che ci tutela, e ci permette di avere giorni liberi che prima non avevamo. I primi anni i ritmi erano serratissimi.
Quanti giorni liberi avete a settimana adesso?
Minimo uno, a volte due. In più abbiamo le vacanze estive e una settimana d’inverno. Ogni tanto abbiamo anche diritto ad avere due tre giorni di seguito. Rispetto ad anni fa la situazione è molto cambiata, molto migliorata. Dobbiamo davvero ringraziare il sindacato. Prima succedeva di fare quattro settimane di fila senza riposi.
E il futuro come lo vedi?
Finché lavorerò in teatro resterò qua. Tommaso è anche lui danzatore, ha trentasei anni e si sta già organizzando con altri lavori. Considera che qui i ritmi sono comunque intensi. Abbiamo in media quattro spettacoli a settimana e a questi ritmi la carriera non dura a lungo. Fisicamente diventa difficile.
Allora non mi resta che augurarti un grandissimo in bocca al lupo per il tuo futuro e per quello della tua famiglia. Grazie Ilenia per l’intervista!
Autrice: Barbara Ricci