“Matti”

“Matti”
Photo Credit To Open Air Berlin

Questo articolo nasce da una riunione con il mio Team del giornale BerlinItaly Post, dove, ironizzando con alcune colleghe sulla mia professione, una di queste mi chiese :

“perché a Berlino sono tutti matti?” E allora eccoci qui.

Il mondo è governato dalle città, gli abitanti della capitale decidono tutto, o quasi. Fino a tempi relativamente recenti non era così: le comunicazioni, inefficienti e lente, obbligavano a lasciare molte decisioni a livello locale, per esempio il direttore di una banca doveva per forza avere un’ampia autonomia, come il capo della polizia, il sindaco, e così via. Le scelte che arrivavano dalle metropoli trovavano il tempo che meritavano, in paese. Questa autonomia, aggiunta a una vita più moderata e serena, staccava gli abitanti delle periferie da quelli delle città.

Nel contesto d’oggi l’urbanizzazione dà un nuovo senso al corposo volume di ricerche secondo le quali le malattie mentali sono molto più comuni nei grandi centri abitati che altrove (urbanizzazione anche omologazione, controllo…)

Il fenomeno, che non è marginale, è stato notato per la prima volta oltre un secolo fa negli Stati Uniti quando ci si è accorti della sorprendente preponderanza nei manicomi di persone provenienti dalle zone più fortemente urbanizzate. Da allora, lo stesso dato è stato riscontrato in tutto il mondo.

Lo studio moderno più noto a riguardo è di origine danese e risale al 2001: autori, i ricercatori Carsten Bøcker Pedersen e Preben Bo Mortensen.

È stato fatto su un enorme campione di quasi 2 milioni di persone, incrociando dati anagrafici con altri provenienti dal servizio sanitario, per studiare come variava l’incidenza della schizofrenia rispetto alla densità abitativa. Non solo ha confermato l’esistenza del fenomeno, ma ha dimostrato che l’effetto cresce con la durata della residenza urbana, ossia: chi abita più di cinque anni in una metropoli ha una possibilità maggiore del 40% di vedersi diagnosticare schizofrenia, depressione, disturbi bipolari e ansia.

Che il fenomeno sia reale è ormai indubbio. Le cause invece sono controverse. La questione in fondo si riduce a una domanda in apparenza semplice: sono le città che attirano i pazzi o è la vita urbana che fa perdere la ragione ?

I dati danesi sull’effetto della durata della residenza parrebbero confermare l’idea che sia proprio l’ambiente metropolitano a far diventare progressivamente “isterici”: questo sia per lo stile di vita e l’apertura mentale delle grandi metropoli ma anche per il continuo stimolo psicologico che la mente è costretta a subire. (James Hansen)

Per esempio una realtà come quella di Berlino dove la legalizzazione di alcuni tipi di droghe leggere e l’abituale consumo di esse nella quotidianità, porta la visione delle sostanze in maniera più “normalizzata” rispetto a un piccolo centro periferico dove la vita è più tranquilla. Una città dove il fetisch e il sadomaso sono nel menù quotidiano delle serate a ballare, chiunque è libero di vestirsi e pettinarsi come vuole che non verrà osservato camminando.

Alcuni studiosi propendono invece per meccanismi come l’auto-selezione: l’idea che forse i disturbati mentali rurali e dei centri minori potrebbero tendere a gravitare verso le grandi città proprio per l’apertura mentale che permette di esprimere al meglio se stessi; altri ancora per la teoria secondo la quale è solo una questione numerica di densità; più è elevata la popolazione più in proporzione saranno le persone disturbate.

La componente genetica sembra però molto rilevante: infatti uno studio sui gemelli (2000) ha cercato di capire gli effetti nei primi anni di vita, intervistando parenti e vicini, misurando i sintomi psicotici ed effettuando colloqui quando i bambini avevano raggiunto l’età di 12 anni. Il risultato è stato che crescere in città raddoppiava la probabilità di manifestare sintomi di psicosi dove i maggiori fattori di rischio erano la criminalità e la difficoltà di avere stretti rapporti sociali. L’ipotesi degli autori è che stare in città alteri qualche circuito cerebrale: secondo uno studio precedente, infatti, chi viveva in città aveva una maggior attivazione dell’amigdala.

La risposta non sembra però definitiva, anche perché la schizofrenia è un disturbo fortemente ereditabile e chi ha malattie mentali potrebbe infatti spostarsi in quartieri poveri e degradati delle città.

Sembrerebbe quindi che finora l’impatto ambientale sia stato sovrastimato rispetto a quello genetico e che non bisognerebbe enfatizzare uno dei due aspetti, ma integrarli. Di sicuro, però, i fattori ambientali, a differenza di quelli genetici, sono più facilmente trasformabili in meglio e dunque la prima azione da considerare è quella di migliorare le condizioni dei quartieri critici delle città. Nel frattempo, nuovi studi cercheranno di comprendere meglio il ruolo dell’ambiente sulla comparsa dei sintomi psicotici per poterli ridurre al minimo.

Non ci resta che goderci gli splendidi show berlinesi delle S-Bahn.

Autore: Lucrezia Butera

About The Author

Lucrezia Butera

Sono Genovese, Laureata in Psicologa Generale e specializzata in Criminologia all’Università di Torino poi abilitata alla professione presso l’ateneo di Firenze. Nel mio studio offro consulenza psicologica e percorsi terapeutici personalizzati per adulti, bambini e adolescenti; la mia idea di percorso terapeutico è volta a lavorare sul soggetto più che sulla problematica, perché ognuno di noi è il centro di se stesso. Ho prestato consulenza presso comunità terapeutiche per minori autori di reato e non, nelle quali ho avuto modo di apprendere e applicare le differenti tecniche di Arteterapia e la loro rielaborazione. Ho formato percorsi di terapia di coppia e famigliare, presso il Centro Studi per la Terapia della Coppia e del Singolo di Genova oltre che consulenze di gruppo volte alla cura dei disturbi di tipo emotivo che possono inficiare la sfera sessuale, famigliare, lavorativa e sociale del paziente. Ho concluso il mio percorso di studi con un Master in consulenza tecnica di ufficio per il lavoro con i tribunali penali (CTU/CTP). Appassionata di psicologia infantile, sono venuta a Berlino per conoscere le realtà degli asili bilingue, presso i quali ho lavorato nel 2015. Attualmente sono impegnata all’interno di "Infermieri Italiani" , progetto per la consulenza e il sostegno degli italiani a Berlino sotto ogni punto di vista (medico e psicologico) , dove organizzo corsi di: • arte terapia infantile • pre/postparto • mindfullness • terapia del singolo • consulenza familiare Faccio inoltre parte della redazione di questo giornale “Berlinitaly.post” dove scrivo articoli a sfondo psicologico sociale.

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