Si va e si torna. L’importante è essere coscienti sempre, in ogni momento, dove si sta. Soprattutto quando si attraversa la strada.
Saluto mio figlio sedicenne che per la prima volta va a Roma da solo con l’aereo per un fine settimana. L’ultima cosa che gli dico al telefono prima dell’imbarco non è “ricordati di spegnere il telefonino prima del decollo” o “non fare tardi”, o” non prendere droghe”, o “obbedisci a nonna”, ma “ricordati che a Roma non puoi attraversare la strada sulle strisce pedonali! Ricordati che non sei a Berlino!”.
Sì, perché io me lo vedo: con le cuffiette, la testa altrove, magari a sognare la nuova fidanzatina romana, attraversare la strada dimenticando quale suolo di quale città stia calpestando, pensando che basti seguire quelle strisce bianche per sopravvivere alla giornata, senza bisogno di guardarsi intorno. Ma è a Roma lui e lì la strada la attraversi solo dopo aver controllato attentamente in ogni direzione – pure per aria, non si sa mai – e dopo aver scambiato un cenno di assenso con l’autista di turno…che magari se si è svegliato bene e se la Roma ha vinto rallenta e ti fa pure attraversare fuori le strisce. Perché a Roma, in verità, strisce o non strisce è uguale. Ti puoi fidare solo dei tuoi sensi. Città eterna sì, ma solo per chi non si distrae mai e ha un occhio di lince e un udito da pipistrello. Per tutti gli altri una giungla.
Io invece che torno a Berlino da sei settimane di vacanze estive ogni anno la stessa storia. Mi fermo sul ciglio della strada a ridosso delle strisce, vedo arrivare delle auto e da romana ritrovata aspetto. Le macchine rallentano e si fermano. Autisti interdetti mi guardano. Io penso “uauu…mi sentivo un cesso oggi, e invece!”, e inizio pure a pensare che in fondo Berlino, la Germania, non siano quei posti così asociali e freddi che ogni tanto in crisi di astinenza solare mi racconto, mi si scalda il cuore nonostante i nove gradi di metà settembre, mi sento in colpa per tutte le volte che ho sputato sopra il piatto in cui mangio, e il mondo in fondo non è quel posto infame che certi giorni sembra…L’autista in prima fila mi continua a fissare. Mi sembra un po’ troppo giovane per me. Allora cavolo ha ragione mia madre quando dice che sembro un ragazzina!
Lo guardo pure io e grata gli sorrido. Un sorriso alla vita il mio, alla vita che sento rinascere in me grazie a quell’inaspettato accenno di attenzione e considerazione. Lui continua a fissarmi. Gli faccio cenno di passare, anche perché si sta formando una coda dietro di lui e qualcuno sta pure strombazzando il clacson spazientito. Il tipo resta fermo. Ok, l’ho steso. Se ne sta lì inchiodato con la macchina e vuole lasciarmi passare. Almeno questo posso concederglielo, dai… Sarà pure giovane ma è così galante. Si vive solo una volta, diamine! Inizio ad attraversare quella benedetta strada. Faccio i primi passi. Mi sento una top model. Sono partita da quel marciapiede che ero una donna quasi depressa e dopo tre passi sono una donna che emana eros ed autostima ad ogni movimento. Mi sento tutti gli occhi della strada, del quartiere, addosso. Cammino lenta e lo guardo di nuovo. Gli sorrido ancora passandogli davanti. Sono quasi arrivata dall’altra parte e lui scuote la testa. In un ultimo balzo elegante- ho fatto anni di danza classica mica invano io- raggiungo l’altra sponda del marciapiede, mi giro, e il tipo mi fa un gesto tipo “ma tu sei matta!”, sgomma e riparte stizzito. Resto lì in piedi attonita sotto gli sguardi di biasimo degli automobilisti in coda che ora mi sfrecciano davanti. Uno, due, tre e finalmente capisco. Capisco di non essere più a Roma.
Mi rendo conto del film che mi sono raccontata, della patetica sceneggiata. Torno quella che ero fino a dieci passi prima: una donna normale. Attraverso un semaforo come un automa fissando l’insegna dell’omino verde berlinese. Cammino sconsolata non so più per dove.
Poi penso a mio figlio, a Roma dalla nonna, in costante pericolo di vita nella giungla capitolina. E non vedo l’ora che torni sano e salvo. E vorrei fare a scambio. Vorrei che lui fosse qui al sicuro e io lì ad innamorarmi a qualche incrocio.
Autrice: Barbara Ricci