Frida e le Sternenkinder giungono in una pizzeria di Berlino ovvero sull’aborto spontaneo

Frida e le Sternenkinder giungono in una pizzeria di Berlino ovvero sull’aborto spontaneo

FRIDA, come Frida Kahlo, la famosa pittrice messicana, nata da genitori ebrei tedeschi, una donna coraggiosa e che ha sofferto molto per ragioni di salute a vario titolo. Quella che vedete nell’immagine di copertina è un quadro in mostra attualmente al Mudec di Milano ed é la storia del suo aborto spontaneo in un ospedale americano: non riesce a portare a termine la gravidanza in conseguenza dei postumi di un incidente d’autobus accadutole anni prima e che le ha sconquassato tutte le ossa del corpo, specie bacino e colonna vertebrale. Le scorre una lacrima sul viso, una sola bianca e fa contrasto col rosso della sua emorragia. In molti casi è questa l’esperienza, che vive una donna che abortisce ed é un discreto shock cromatico, ma soprattutto emotivo. Diego Rivera, suo futuro marito, dirà di lei «la prima donna nella storia dell’arte ad aver affrontato con assoluta ed inesorabile schiettezza, in modo spietato ma al contempo pacato, quei temi generali e particolari che riguardano esclusivamente le donne». Per questo possiamo esserle tutte grate.

E’ quello che mi é capitato una mattina di fine maggio di otto anni fa e l’ho capito subito di aver perso il bambino. Ero all’undicesima settimana e 6 giorni, avevo già fatto due ecografie, avevo visto un puntino pulsare sullo schermo, il cuore che batteva e mi ero molto intenerita, ero stanca da morire (come sempre accade nel primo trimestre di gestazione), avevo delle simpatiche nausee mattutine e il senso di non piacevolissima tensione al seno…il mio corpo si modificava insieme, di pari passo, alla nuova vita che germogliava in me…bellissimo !

Vengo accompagnata in ospedale e il medico-tirocinante di turno cerca con nervosismo crescente il battito del bambino con l’ecografo, capisco che non lo trova, chiama il suo capo e nemmeno lei trova il battito, lancia uno sguardo alla tirocinante, si allontana, capisco che deve sbrigarsela quest’ultima nell’ingrato compito di comunicarmi il fattaccio (anche ciò ovviamente fa parte della preparazione al rapporto col paziente), percepisco il suo sincero dolore e le dico che non importa, che ho capito, replica che le dispiace molto. Esco dalla stanza, mi siedo lentamente in corsia, raccolgo la mia testa con le mani tra le mie ginocchia, come in segno di protezione da una sorta di tegola metaforica, che sento essermisi rotta in testa, tipo quando ti spiegano la procedura di emergenza in aereo. Vengo posta in corsia in attesa dell’operazione per il cd. raschiamento in mezzo alle puerpere con i loro bambini appena nati, non c’è posto altrove. Mi da fastidio e dolore il pianto dei bambini, sollevo su di me il lembo della coperta pure se fa caldo, non voglio sentire, voglio solo fasciarmi per proteggermi…sento dal mondo fuori una conversazione: “Cos’ha?“, “…ha appena abortito…“….”Uh, poverina“…lì sotto piango silenziosamente. Per fortuna hanno il senso dell’opportunità di uscire, ma rimane una mamma, al suo primo figlio. La sento il difficoltà, la sento farfugliare fino al mio mondo lì sotto: “Non ce la faccio…basta piangere, smettila“…effettivamente la bambina ha deciso di intonare un concerto rock da far impallidire pure i Rammsteinn.

A quel punto sento dentro di me una vocina alla Magnum P.I. (la serie televisiva): “Fa’ qualcosa, dai, muoviti, reagisci” e così decido di darle retta, esco dal mio bozzolo triste, decido con uno scatto di buttare all’aria la coperta e capire meglio che accade al di fuori e vedo lo sguardo della neomamma terrorizzato e la bambina rocker tra le sue braccia bellissima e il suo sorriso mi fa riconciliare con me stessa e con la Vita. La prendo in braccio e inizio a cullarla, invito così la madre ad andarsi a fare una doccia e a rilassarsi, poi le spiegherò come medicare il cordone ombelicale reciso della pupa.

Sono stata una “madre-bara” per 72 h prima di essere operata in mezzo a questi vari concerti rock e all’uscita dalla sala operatoria non c’era nessun volto a me noto! In questa circostanza ho capito l’insegnamento di Kenshiro, manga giapponese anni ’80, che mi è sempre piaciuto: “Trasformare le lacrime in sorrisi…

Anche qui a Berlino mi è capitato di toccare questo tema: vado dalla mia ginecologa tedesca, una tutta d’un pezzo e piuttosto asettica, coi suoi occhialetti e la prima volta, nel redigere la mia anamnesi, le faccio presente oltre ai due bimbi, questo aborto…si congela un attimo nei movimenti e disgela il suo animo: si toglie gli occhiali, li appoggia sul tavolo e mi dice che anche a lei é capitato e con un’emorragia pazzesca…rimango piacevolmente basita da questa confidenza, a seguire riprendiamo la compilazione dell’anamnesi e i controlli di rito.

Lo scorso ottobre, poi sempre qua a Berlino, mi ritrovo in pizzeria con la nostra piccola, ma entusiasta redazione e così, per caso (si chiama il Caso), mi si siede accanto Irma Trotta Conti, con la quale dapprima mi intrattengo a parlare del più e del meno e mi piace moltissimo. Poi la nostra conversazione prende una piega più intima e ci ritroviamo a parlare anche dei figli. Noto un gioiello al suo collo con tre anelli e mi dice che ci sono ci sono incisi i nomi dei tre suoi: Stefano, Lucia e Filippo…ma Stefano é morto durante il travaglio a gravidanza compiuta, al nono mese. Mi prende un groppo alla gola e mi commuovo e a quel punto lei mi chiede se ho perso un bambino anch’io: non riesco a rispondere, perché ho la morsa alla gola, ma faccio un cenno col capo, per annuire…riesce a parlare lei per me; di norma è così, chi ha più sofferto, ha maggiore fortezza, la sviluppa naturalmente e per necessità. Lei ha già trasformato molte sue lacrime in bellissimi sorrisi, anzi le ha addirittura tradotte in una poesia, che si é scolpita a lettere di fuoco sul braccio, é un concentrato di positività elevata al cubo: Stelle e Luna, Finalmente”

A tale proposito il Parlamento tedesco ha approvato nel 2013 una significativa norma in tema di vita nascente: è possibile dare legalmente un nome anche a quei bambini non nati di peso inferiore ai 500 grammi. Questi piccolini che non sono riusciti a venire al mondo e che vengono chiamati “Sternenkinder”, cioè bambini delle stelle, quindi si vedono riconosciuto il diritto ad un nome inscritto presso l’anagrafe civile e di una degna sepoltura. Inoltre la cosa bellissima è che la norma ha effetto retroattivo: ciò significa che a tutti i genitori è concessa la facoltà di donare un nome al proprio figlio nato morto, esibendo il relativo certificato, anche se la morte è avvenuta molti anni prima. Per la legge italiana invece i bambini sono considerati “nati morti” solo quando abbiano superato le 28 settimane di gestazione al momento del parto e dovrà essere registrato presso l’anagrafe e, solo successivamente, si potrà procedere alla sua sepoltura. Gli altri piccolini quindi rimangono invisibili…anche se, a richiesta dei genitori, nel cimitero possono essere raccolti con la stessa procedura anche prodotti del concepimento di presunta età inferiore alle 20 settimane. In verità il Regolamento UE 328/2011 all’articolo 2 definisce «nato morto», “la morte del feto, ossia il decesso prima dell’espulsione o dell’estrazione completa dal corpo della madre di un prodotto del concepimento, quale che sia la durata della gestazione. Il decesso è indicato dal fatto che, dopo la separazione dalla madre, il feto non respira né manifesta alcun altro segno di vita, come il battito cardiaco, la pulsazione del cordone ombelicale o movimenti definiti dei muscoli volontari”. Si tratta di una forma di rispetto verso i genitori che hanno perso un bambino.

Ecco alcuni temi, più di altri, legano le esperienze personali di molte donne, a qualsiasi latitudine geografica e culturale e questa cosa mi da molta forza. La trovo molto bella. Anzi, vi dirò di più, che ogni mamma che ha perso un bambino, poi lo rincontra non solo nel proprio cuore, ma in alcune circostanze anche “di persona”, chiamatele suggestioni, chiamatele fantasie dettate da esperienze dolorose, ma è per tutte così: Irma ha rincontrato Stefano a un concerto, una mia amica facendo un lancio con un paracadute, chi come questa bravissima artista Sista’s Art ha tradotto in pittura la sua esperienza, una fotografa tedesca ha invece immortalato i bambini delle stelle…la cosa rilevante é la rielaborazione di quelle emozioni anche in questa salsa…

Così mi piace ricordare una lezione d’amore a riguardo: “È lecito inventare dei verbi nuovi? Voglio regalartene uno: io ti cielo, così che le mie ali possano distendersi smisuratamente per amarti senza confini.” (Frida Kahlo).

 

Autrice: Violetta

DISSONANZE vuole essere una piccola rubrica ove parlare di alcune “divergenze” percepite da un occhio italiano a Berlino, contrasti che potrebbero essere più formali che sostanziali, se si vuole essere europei e sintetizzare molteplici aspetti culturali, che convivono molto bene qui. Leggi gli altri articoli

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Violetta

Sono italiana e faccio su e giù tra Berlino e Roma dall'estate del 2014. Amo il mare, stare all'aria aperta, leggere ed imparare cose nuove, nonché viaggiare in compagnia. In BerlinitalyPost parlo di alcune "divergenze" percepite da un occhio italiano a Berlino; contrasti che potrebbero essere più formali che sostanziali, se si vuole essere europei e sintetizzare molteplici aspetti culturali, che convivono molto bene qui a Berlino.

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