Ostalgie

Ostalgie
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Parliamo di un argomento decisamente Berlinese:

“L’Ostalgie” letteralmente “nostalgia dell’Est”:

E’ un neologismo tedesco , che deriva dalla crasi tra le parole ost (in tedesco = est) e nostalgie (nostalgia, rimpianto) e che ha dato il nome a un sentimento sviluppatosi nei primi anni Novanta: la nostalgia dei popoli dell’ex blocco sovietico nei confronti del proprio passato (Banchelli).

Questo fenomeno ha generato dinamiche revivalistiche in diversi ambienti culturali.

Svetlana Boym ha dato una delle più complete e chiare interpretazioni di questo fenomeno definendo l’ostalgie come una forma di nostalgia “riflessiva”, in contrapposizione con quella “restauratrice”.

La differenza tra questi due sentimenti sta nel fatto che mentre la seconda mira a ricostruire lo spazio e il tempo perduti, e prende tutto con estrema serietà, la nostalgia “riflessiva” si abbandona ai dettagli che affiorano coi ricordi, è commemorativa e talvolta ironica, può essere obiettiva e critica su certi aspetti, ma questo non entra in conflitto con il ricordo talvolta struggente che sembra restituire il passato in un’ottica completamente positiva.

Quindi l’ostalgie riguarda solo alcuni valori, alcune certezze, alcuni aspetti dello stile di vita di chi ha vissuto il Socialismo. In questo senso vanno letti tutti i ritorni di oggetti e immagini del passato che divengono oggi materiali d’archivio, oggetti di culto, fenomeni commerciali e turistici, tutto ciò torna nel presente “privato di connotazione politica” e di voglia di tornare allo status quo.

A partire dall’abbattimento della divisione tra Est e Ovest del 1989 e con ciò dal superamento del bipolarismo instauratosi dopo la seconda guerra mondiale, si è avuta una rinascita delle diverse etnie e delle diverse storie. Si è avuto un “risveglio della storia”, intendendo con ciò non la storia specialistica, ma la storia come passato che si ricorda, e che fornisce continuità e identità al gruppo che in essa si riconosce.

La Germania, invece, rappresenta un unicum nella storia recente dell’Europa Occidentale: qui non c’è stato il rifiorire di diverse etnie e il recupero di storie particolari, al contrario dopo l’unificazione e il superamento della divisione, instauratasi nel 1949 con la doppia statualità che faceva capo a un ordine politico e simbolico diverso e contrapposto, si è tornati alla radice culturale e nazionale comune, non senza problematizzazioni e spesso inutili recriminazioni. Per quarant’anni i due stati tedeschi hanno costruito la loro identità in reciproca contrapposizione, divenendo quasi – a livello ufficiale – l’ombra l’uno dell’altro (T.Gislimberti).

Nel 1989 è venuto a mancare improvvisamente per entrambi il polo di contrapposizione, l’ombra sulla quale si poteva tranquillamente proiettare il negativo rifiutato e anche nel contempo l’idealizzazione dell’altro : sono queste le radici psicologiche nelle quali questo sentimento definito “Ostalgie” si è andato a instaurare: la dispersione, il senso di non attaccamento a una cultura e un origine comune, la storia che manca dietro di se.

Dopo l’apertura del muro, che aveva di fatto statuito la divisione Est-Ovest, vi fu una prima fase di euforia, caratterizzata dallo slogan –  mediamente condiviso – «Wir sind ein Volk», il quale metteva l’accento sull’appartenenza comune a un’unica nazione. In questa fase i simboli della vecchia DDR vennero completamente svuotati di senso, non più utilizzati nel confronto con i detentori del potere, a cui si parlava con le stesse modalità comunicative che da loro erano state utilizzate per quarant’anni, divennero semplicemente un fardello inutilizzabile e connotato con tutto ciò che di negativo aveva  rappresentato la DDR. Per cui si cominciò, per esempio, a ritagliare dalle bandiere della DDR l’emblema della stessa. Grande euforia che si tramuta mano mano in realizzazione di ciò che sta accadendo.

Ciò che prevaleva era il desiderio e la speranza di prendere parte al benessere occidentale attraverso una rapida riunificazione. In parte fu cosi; venne però trascurato il risvolto psicologico di questa rottura cosi radicale. Diamo uno sguardo a questa reazione psicologica:

Diversi studi si sono occupati del senso di appartenenza legato ai sintomi depressivi e i disturbi dell’umore; I ricercatori dell’Università del Queensland, per esempio, si sono concentrati sul significato del senso di appartenenza a uno specifico contesto differenziandolo da un più astratto e generale senso di appartenenza dell’individuo alla comunità in cui vive.

I partecipanti allo studio (369) con una prevalenza femminile e un’età media di 40 anni, è stato chiesto di compilare un questionario online che indagava pensieri e cognizioni su due aspetti: far parte della comunità in senso generale e il senso di appartenenza legato al proprio gruppo di lavoro. Una terza parte del questionario era dedicata ad approfondire la presenza di sintomi ansiosi e depressivi a riguardo. 
I dati raccolti hanno confermato che il sentimento generale di appartenenza alla propria comunità, è diverso da quello specifico che deriva dal sentirsi parte di un gruppo : ciò potrebbe essere spiegabile con il fatto che ciascuno di noi fa parte di svariati contesti, all’interno dei quali ricopre uno specifico ruolo (in famiglia, a scuola, sul lavoro, nella società) e la mancata affiliazione nella propria esistenza a uno o più gruppi di riferimento, con una solida base sociale, storica e culturale porta allo sviluppo di un deficit dello sviluppo sociale corretto e di sintomi depressivi.

Ciò potrebbe dipendere da un diminuito senso di inclusione e valore personale, che l’appartenenza a un gruppo contribuisce a rafforzare. 

Questo studio conferma qualcosa di cui tutti noi siamo già coscienti: non si vive solo per se stessi, essendo noi “animali sociali e di branco” sentirsi parte di un sistema permette di esprimere aspetti diversi della nostra identità, sentirci protetti da qualcosa di comune.

Provate a immaginare se tutto ciò, in una notte crolla assieme a un muro di cemento per non tornare mai più?

Incontro Marco Vivori arrivato nel 1993 come architetto nel cantiere di Halle an der Saale per passare poi nel cuore della Berlino est e infine Zeitz nella regione di Lipsia.
In quei tempi le differenze tra Est e Ovest erano ancora molto leggibili, soprattutto in provincia. Dopo la prima completa sostituzione di ogni prodotto dell’Est con equivalenti dell’Ovest, c’è stato un parziale recupero da una parte di prodotti regionali, dall’altra di prodotti che attorno agli anni 2000 sono diventati cult tra i giovani, anche come una specie di opposizione ai prodotti delle multinazionali.

Ph. Hans
Ph. Hans

Con lui parliamo del tema di quei simboli che invece “ce l’hanno fatta”. Tra questi prodotti quale miglior esempio se non l’Ampelmann.

Fino al 1960 nella DDR i semafori avevano tutti la stessa foggia, indipendentemente dal fatto che servissero a regolare il traffico di auto, bici o pedoni .

Nel 1961 il designer e psicologo del traffico Karl Peglau fu incaricato dalla commissione per il traffico di Berlino Est di trovare una soluzione che limitasse gli incidenti tra macchine e pedoni. Peglau individuò il problema proprio nell’eccessiva omogeneità tra le lanterne semaforiche, unita al fatto che le luci colorate erano indecifrabili per gli utenti della strada affetti da daltonia, inoltre, le luci erano troppo piccole e troppo deboli in confronto alle pubblicità luminose e la luce solare.

La soluzione prospettata da Peglau fu pertanto quella di realizzare segnali più grandi, luminosi, chiari e con aspetto diverso a seconda dell’utenza di riferimento.

A seguito della riunificazione tedesca, tra i vari provvedimenti si tentò di unificare i segnali stradali alle forme tedesco-occidentali. La segnaletica della Germania dell’Est fu pertanto smantellata e sostituita, e gli Ampelmännchen non fecero eccezione. Tuttavia, molti cittadini ex tedesco-orientali iniziarono presto a chiedere che l’Ampelmännchen fosse preservato, in quanto aspetto simbolo importante della cultura della ex Germania Est; le autorità competenti concessero quindi un’ordinanza per il mantenimento delle lanterne (avevano smantellato tutto quanto proveniva dall’era della DDR, perché anche questo?)

Una spinta decisiva alla popolarità dell’Ampelmännchen venne dall’iniziativa di Markus Heckhausen, un disegnatore grafico, che aveva notato il peculiare disegno dei semafori durante le sue visite a Berlino. Quindici anni dopo ebbe l’idea di ritirare i semafori dismessi e di trasformarli in lampade domestiche; a tale scopo fondò la società “Ampelmann GmbH”. L’intuizione ebbe un grande successo: le lampade furono vendute in gran numero e la stampa se ne interessò. Negli anni seguenti, Heckhausen ampliò la gamma di prodotti ispirati all’omino: magliette, portachiavi, caramelle gommose, biciclette, aprendo diversi negozi e un ristorante a tema.

L’Ampelmännchen è rimasto largamente diffuso nel territorio tedesco ed è uno dei simboli della vittoria (resistenza?) e della rivincita pur molto parziale dell’ Est sull’Ovest.

Autore: Lucrezia Butera

About The Author

Lucrezia Butera

Sono Genovese, Laureata in Psicologa Generale e specializzata in Criminologia all’Università di Torino poi abilitata alla professione presso l’ateneo di Firenze. Nel mio studio offro consulenza psicologica e percorsi terapeutici personalizzati per adulti, bambini e adolescenti; la mia idea di percorso terapeutico è volta a lavorare sul soggetto più che sulla problematica, perché ognuno di noi è il centro di se stesso. Ho prestato consulenza presso comunità terapeutiche per minori autori di reato e non, nelle quali ho avuto modo di apprendere e applicare le differenti tecniche di Arteterapia e la loro rielaborazione. Ho formato percorsi di terapia di coppia e famigliare, presso il Centro Studi per la Terapia della Coppia e del Singolo di Genova oltre che consulenze di gruppo volte alla cura dei disturbi di tipo emotivo che possono inficiare la sfera sessuale, famigliare, lavorativa e sociale del paziente. Ho concluso il mio percorso di studi con un Master in consulenza tecnica di ufficio per il lavoro con i tribunali penali (CTU/CTP). Appassionata di psicologia infantile, sono venuta a Berlino per conoscere le realtà degli asili bilingue, presso i quali ho lavorato nel 2015. Attualmente sono impegnata all’interno di "Infermieri Italiani" , progetto per la consulenza e il sostegno degli italiani a Berlino sotto ogni punto di vista (medico e psicologico) , dove organizzo corsi di: • arte terapia infantile • pre/postparto • mindfullness • terapia del singolo • consulenza familiare Faccio inoltre parte della redazione di questo giornale “Berlinitaly.post” dove scrivo articoli a sfondo psicologico sociale.

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